Il libro
«Da tredici a ventitré anni, sono stata repressa, condannata a essere una musulmana, una sottomessa e imprigionata sotto il nero del velo. Da tredici a ventitré anni. E non lascerò dire a nessuno che sono stati i più begli anni della mia vita.
Coloro che sono nati nei paesi democratici non possono sapere a che punto i diritti che a loro sembrano del tutto naturali sono inimmaginabili per altri che vivono nelle teocrazie islamiche. [...]
Ma che cos’è portare il velo, abitare un corpo velato? Cosa significa venire condannata a essere chiusa in un corpo velato perché femminile? Chi ha il diritto di parlarne?
[...] Certi intellettuali parlano volentieri al posto degli altri.
E oggi ecco che parlano al posto di quelle che non hanno voce – quel posto che, per decenza, nessuno al di fuori di esse dovrebbe cercare di occupare.
Perché, questi intellettuali, insistono, firmano, presentano petizioni. Parlano della scuola, dove non hanno più messo piede da lungo tempo, delle periferie dove non hanno mai messo piede, parlano del velo sotto il quale non hanno mai vissuto.
Decidono strategie e tattiche, dimenticando che quelle di cui parlano esistono [...] e non sono un soggetto su cui dissertare, un prodotto di sintesi per esercitazioni scolastiche.
Smetteranno mai di lastricare di buone intenzioni l’inferno degli altri?»