Dai boulevard ai caffè del Palais-Royal, da un ballo popolare a una società musicale, sino ai cabaret più malfamati delle Halles, ultimo rifugio, verso l’alba, dei flâneurs e dei senzatetto: Le notti d’ottobre si apre con una partenza mancata che si trasforma in un'esplorazione notturna del centro di Parigi.
Dietro il vagabondaggio fantasioso e picaresco Gérard coinvolge il lettore con una familiarità dei luoghi descritti che traspare in mille particolari concreti, in mille notazioni precise, grazie alla sua puntigliosa intenzione documentaria.
L'immagine di Nerval umorista è meno familiare al pubblico odierno di quella del Nerval visionario o del poeta perseguitato da un destino di sventura.
Guida infallibile di Nerval su questo terreno è il gusto affinatissimo per un’«archeologia dell’irrilevante» che, prima di rivivere in Aragon, Queneau e Perec, gli ispira qui pagine di grande bellezza. Il dato realistico subisce tuttavia una costante metamorfosi che reca l’impronta inconfondibile del suo mondo interiore, dei miti e degli archetipi che popolano i suoi sogni, della sua visione alterata del reale – carattere precipuo della seconda parte della narrazione.
Il tratto che su tutti si impone e che ci fa comprendere le due parti del libro (la parigina discesa agli Inferi e l'onirico vagabondaggio provinciale), è l’acuta autoparodia che sempre salva Nerval dalle tentazioni del titanismo narcisista e che è il volto ascetico dell’immaginazione, capace di correggere le proprie ricorrenti tentazioni di onnipotenza.
Al piano terra il caffè-biliardo; al primo la sala da ballo; al secondo la sala per la scherma e il pugilato; al terzo il dagherrotipo, strumento di pazienza rivolto agli spiriti stanchi, che oppone a ogni volto lo specchio della verità, distruggendo ogni illusione.
– Gérard de Nerval
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