Il libro
Le opere di misericordia, così come ci sono state tramandate dal passato, possono sembrare il retaggio di una pietà d’altri tempi, al pari delle giaculatorie e dei fioretti con cui si iniziavano le nuove generazioni alle virtù umane e cristiane. In effetti, gli scenari di vita si sono oggi alquanto modificati. L’intervento pubblico è percepito e reclamato come un diritto, e ciò crea la diffusa percezione che sia lo Stato – o al limite le strutture private, comunque esterne alla famiglia – a doversi occupare dei problemi materiali, del disagio, del dolore, della malattia e persino della morte dei cittadini.
Ritornare a riflettere sulle opere di misericordia ci aiuta, invece, ad andare oltre la scorza, per imparare a non ignorare la sofferenza che si nasconde dietro i volti tirati a lucido della gente intorno a noi, per ricordarci che tutto ciò ci riguarda e dovremmo farcene carico. È quindi un atto di intelligenza, nel senso che aiuta a leggere dentro, ma anche uno strumento per risvegliare la compassione, quella che Dostoevskij ne L’idiota definisce «la più importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera».
Mettere attivamente in pratica tali precetti non è solo virtù morale per chi ha il dono della fede, ma prima ancora dovere di giustizia per tutti.