Il libro
Perché Péguy, oggi? Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, «morto sul campo d’onore» oltre un secolo fa, nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkielkraut come un «profeta disperato» del malessere spirituale moderno.
Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all’orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure, la sua riflessione sulla modernità – sulle implicazioni dell’affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia – è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo.
«Impossibile essere moderni, vale a dire, lasciar fare al tempo. La guerra infligge alla religione del progresso un’impietosa sconfessione. Essa un’impietosa sconfessione. Essa mostra a Péguy che tutto si muove senza che nulla cambi, che le scoperte si susseguono e le invenzioni si accumulano, ma la storia balbetta, che allo sviluppo folgorante della tecnica fa da contraltare il mantenimento opprimente dell’orrore. Bisogna dunque concludere che la barbarie non è la preistoria dell’umanità, ma l’ombra fedele che accompagna ciascuno dei suoi passi».
– Alain Finkielkraut