Il libro
È difficile parlare del Sorpasso senza fargli torto. Raccontare dello spessore della leggerezza di Dino Risi senza cadere nella declamatoria che tanto accuratamente il regista ha sempre evitato. Descrivere i sentimenti contraddittori e potenti che si muovono dietro il cinismo goliardico di superficie, occultati dal gusto salace, genuinamente infantile, irresistibile, dello sberleffo. Rintracciare la presenza di un cineasta il cui timor di retorica e sguardo mai compiaciuto di sé tende istintivamente a occultare.
Parlare del Sorpasso vuol dire produrre una teoria inarrestabile di ossimori.
Perché Dino Risi ama i suoi personaggi anche quando sono imperfetti o addirittura sgradevoli e comunque non propriamente politically correct. Così come ama il tempo in cui vive anche se ha intuito, prima di altri, l’imbarbarimento dei costumi e delle emozioni, senza però mai giudicarli, anzi esaltandone paradossalmente i colori vitali. E ama il cinema senza complessi, rifuggendo con ironia la spocchia d’autore. Eppure Risi è Autore, inequivocabilmente, nella capacità del suo «dire per immagini», nella felice ambiguità del suo «guardare» alle cose. Ed è con la stessa libertà di pensiero (anche critico) che Il sorpasso va rivisto, senza pregiudizi teorici né pregiudiziali analitiche.