Il libro
Senza rinunciare a essere moderno, ma abbandonando qualsiasi forma di sperimentalismo, Ingmar Bergman si rivolge al grande pubblico con un’opera che coniuga la coscienza della scrittura cinematografica con la densità della narrazione classica e il fascino del realismo magico.
Fanny e Alexander è una partitura di immagini in grado di restituire la realtà delle cose, ma soprattutto l’ineffabilità della vita interiore.
Come forse nessun altro nel cinema, e come avevano fatto prima di lui Ibsen e Strindberg nel teatro, Ingmar Bergman inventa una drammaturgia nuova per raccontare le angosce, le paure e i fantasmi di una soggettività tutta moderna, in cui i conflitti, i dolori e i disagi sorgono dal di dentro, da una psiche inquieta e divisa. La conquista più grande del film sta nell’aver trovato cadenze, ritmi, figure, immagini in grado di descrivere questo paesaggio dell’anima fatto di luoghi, corpi e volti che si fondono insieme e si ricollegano ad antiche radici familiari e a memorie infantili senza tempo, «un mondo perduto di luci, profumi, suoni».