Il libro
«Casinò» ha il sapore del déjà-vu, di un sogno già fatto. Scorsese però non lavora per spostamento e condensazione, ma per accumulo e contaminazione, come dimostrano i titoli di testa firmati da Saul Bass: debordanti, allegorici nel loro movimento verticale di ascesa e caduta, con quella Passione bachiana che nessuno si aspetterebbe di sentire in mezzo al glamour vizioso di una Las Vegas ridotta alla sua componente metonimica più riconoscibile (le luci al neon) e che finisce per scivolare nella metafora, quando le fiamme prendono il posto dei bagliori artificiali. Casinò è un film barocco e simbolico, tendente all’apologo più che alla cronaca, desideroso di sondare quanta anima resta ai personaggi, così dichiaratamente eccessivi e carichi di colpe, sui quali posa uno sguardo coinvolto, capace anche di pietas.